l’ultimo atto di Powell che i mercati aspettano con il fiato sospeso
Ogni agosto, tra le montagne del Wyoming, si consuma un rito che va ben oltre la geografia: Jackson Hole è il palcoscenico dove le parole della Federal Reserve si trasformano in movimenti di mercato.
Quest’anno, però, l’evento ha un valore simbolico e storico: Jerome Powell salirà sul palco per l’ultima volta come presidente della Fed. Il suo discorso non sarà soltanto un congedo, ma un test decisivo per capire se l’autunno dei mercati sarà accompagnato da vento favorevole o da turbolenze inattese.
Mercati già pronti: la scommessa di settembre
Gli investitori hanno già piazzato le loro fiches: il primo taglio dei tassi è atteso per settembre, 25 punti base che rappresenterebbero l’inizio di un nuovo ciclo.
Attenzione però, siamo passati nel giro di poche settimane dal 98% di probabilità del taglio al 79% … l’inflazione rimane sempre e costantemente sopra il target del 2% stabilito dalla FED.
Le attese si sono rafforzate dopo i dati di luglio sul mercato del lavoro, più deboli del previsto. Eppure, la Fed non ha mai concesso un via libera esplicito, continuando a ripetere che ogni decisione resta “data-dependent”.
È un braccio di ferro psicologico: da una parte Wall Street che corre, dall’altra una banca centrale che non vuole farsi dettare l’agenda.
Lezioni dal passato: quando Jackson Hole ha fatto tremare
Gli interventi di Powell a Jackson Hole non sono mai stati neutri.
Negli ultimi sette discorsi, i rendimenti del decennale USA sono saliti in media di oltre 20 punti base nel mese successivo, mentre l’S&P 500 ha perso circa il 2%.
Il 2022 resta l’esempio più vivido: con toni durissimi contro l’inflazione e l’annuncio di “dolore” necessario per riportarla sotto controllo, Powell innescò un crollo del 12% dell’S&P nel mese seguente, un rafforzamento del dollaro e un’impennata dei rendimenti.
Le variabili del 2025: dazi e politica
Il contesto attuale è più complesso.
I dazi introdotti negli ultimi mesi rischiano di scaricarsi sui consumatori a partire dal 2026, alimentando una nuova ondata inflattiva.
Diversi scenari parlano di tre tagli dei tassi distribuiti tra la fine del 2025 e il 2026.
Un ciclo di allentamento nell’ordine di 175 punti base, però, potrebbe minare il vantaggio reale del dollaro, ridisegnando gli equilibri valutari.
Sul fronte politico, il Tesoro spinge apertamente per politiche più espansive.
La Fed si trova così sotto pressione: da un lato il compito di preservare la credibilità, dall’altro il rischio di apparire troppo timida davanti a un’economia che rallenta.
Il dopo Jackson Hole: il vero spartiacque
Storicamente, l’S&P 500 arriva a Jackson Hole con un rendimento medio da inizio anno vicino al 7%.
Durante il simposio, i listini restano spesso piatti.
È il “dopo” che conta: in media un +5% fino a fine anno, con oscillazioni legate al tono del discorso.
Quando la Fed si è mostrata accomodante, i mercati hanno reagito con rally importanti: +20% nel 2010, +11% nel 2013, +12% nel 2019, oltre +7% nel 2020 e nel 2023.
Nei contesti restrittivi, invece, sono arrivate correzioni: -13% nel 2018, -5% nel 2022.
Il 2025 parte da una condizione particolare: l’S&P 500 ha già guadagnato circa il 10% da inizio anno, più della media storica del 7%.
Non è un’incoerenza, ma un confronto: significa che il mercato arriva al simposio già più “tirato” rispetto al passato.
Se il messaggio di Powell sarà chiaro e credibile, il rally potrà continuare.
Se invece il discorso sarà vago, il rischio di una correzione è più alto, perché il margine di delusione è maggiore.
Le domande che contano
Powell confermerà la narrativa del taglio a settembre o cercherà di raffreddare le aspettative?
Ribadirà con forza l’indipendenza della Fed di fronte alle pressioni politiche?
Saprà bilanciare inflazione, occupazione e produttività, i veri nodi dell’economia USA?
Conclusione: l’ultimo testamento di Powell
Jackson Hole 2025 non è solo l’ultimo discorso di Jerome Powell: è lo specchio della credibilità della Fed in un passaggio di ciclo.
I mercati hanno già corso oltre la media storica e guardano al simposio come a una conferma.
Ma la storia insegna che basta un cambio di tono per trasformare un’estate serena in un autunno tempestoso.
La posta in gioco non è il tono, ma la credibilità del legame tra parole e dati. È lì che si deciderà se il dopo sarà rally o correzione.
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